QUANTE MICROPLASTICHE NEL NOSTRO ORGANISMO?
POTETE IMMAGINARE UN MONDO SENZA PLASTICA?
Provate a guardarvi intorno e cercate tutti gli oggetti che sono prodotti, anche solo parzialmente, con la plastica. I vostri vestiti, le scarpe, gli occhiali, il vostro smartphone, la vostra auto, il vostro computer o il tablet, il vostro spazzolino da denti.
La plastica non è soltanto nelle bottiglie per l’acqua o nell’asse del vostro wc è tutta intorno a noi.
Siamo talmente abituati alla plastica che non potremmo vivere senza.
Il rischio nel nostro futuro, soprattutto in quello dei nostri figli, è che non vivranno più senza plastica.
Le plastiche impiegano secoli per degradarsi e nel frattempo si riducono a microparticelle, spesso invisibili, che stanno riempiendo i nostri mari. Mangiare un’orata o un dentice potrebbe voler dire assumere microplastiche che non vediamo che ma che avranno effetti nei nostri organismi, in quelli degli animali e in generale nell’ambiente del nostro pianeta.
Ed essendo l’uomo in cima alla catena alimentare (“L’uomo mangia molti esseri viventi, animali e vegetali, e in genere non viene mai mangiato – salve rare eccezioni” diceva Giorgio Celli), noi accumuliamo nel nostro organismo molte sostanze estranee che non possiamo metabolizzare. Le accumuliamo soprattutto nei grassi, tanto che le diete drastiche possono risultare pericolose per il nostro organismo, per le sostanze che vengono liberate in tempi brevi.
Alcuni prodotti in plastica sono essenziali e ci consentono di vivere più a lungo, altri rischiano di farci vivere meno.
Pensate alle sacche per le trasfusioni, ai cuori ed altri organi artificiali, che non potrebbero essere fatti con altre sostanze (allo stato delle nostre conoscenze attuali).
Ma siamo sicuri che non possiamo fare a meno delle cannucce in plastica, ai cotton fioc (proibiti ma dal 2019), ai cosmetici fatti a base di micropalstiche (proibite dal 2020), al nostro orologio, al cellulare o al volante della nostra auto? Certo, questi oggetti sono tutti riciclabili , ma non tutti vengono riciclati.
Pensate che la rivista “Science advances”, della American Association for the Advancement of Science, ha pubblicato nel 2017 un articolo dove si diceva che “… stimiamo che fino ad oggi siano stati prodotti 8.300 milioni di tonnellate (Mt) di materie plastiche vergini. A partire dal 2015 sono stati generati circa 6.300 Mt di rifiuti plastici, di cui circa il 9% è stato riciclato, il 12% è stato incenerito e il 79% è stato accumulato nelle discariche o nell’ambiente naturale. Se le attuali tendenze di produzione e gestione dei rifiuti continuano, circa 12.000 Mt di rifiuti di plastica saranno nelle discariche o nell’ambiente naturale entro il 2050.”
E allora possiamo pensare ad un cellulare fatto di alluminio e vetro (infrangibile), ad un volante della nostra auto in legno (come erano belli quelli di una volta), al maglione e al cappotto in cotone, lana o canapa, Al nostro computer in fibra di magnesio, alluminio e rame, ecc.
Forse tutto costerebbe un po’ di più, ma spenderemmo molto meno in salute garantendo più futuro alle prossime generazioni.
Quando eravamo impegnati contro l’energia nucleare eravamo consapevoli di vivere in una società energivora e non eravamo contro l’energia, ma pensavamo che dovevamo produrla con fonti non inquinanti e rinnovabili e soprattutto dovevamo usarla bene con un uso efficiente e senza inutili sprechi. Sapevamo anche avremmo pagato molto di più il consumo dell’energia, ma sapevamo anche che saremmo stati “nuclear free” noi e i nostri figli (altre nazioni permettendo).
Allora non pensavamo ancora agli effetti che stiamo scoprendo adesso con le microplastiche, diffuse in tutte le matrici degli ecosistemi e nel nostro organismo.
Nel 1980 in Italia è stato proibito l’uso dei cloroderivati (DDT, Aldrin ecc.), usato come insetticida nella lotta ai parassiti delle colture agrarie e contro la zanzara anofele portatrice della malaria. Eppure gli effetti nefasti dei cloroderivati erano stati divulgati già dal 1962 dal famoso libro di Rachel Carson “Silent Spring – Primavera silenziosa”. Un libro che ci ha iniziato al moderno ambientalismo e che ci ha fatto capire che non possiamo mai sapere cosa accade veramente quando immettiamo una nuova sostanza nell’ambiente. Purtroppo, a volte, lo scopriamo decenni dopo.
Ci sono voluti 18 anni per vietare i cloroderivati in Italia, ma il loro uso è continuato in molte parti del mondo ancora per decenni.
Oggi il DDT è ancora presente nel grasso dei pinguini dell’Antartide, nelle foche e fino a qualche anno fa si trovava ancora nel latte materno, tanto che si diceva che non sarebbe potuto essere messo in commercio perché superava la DGA (Dose Giornaliera Ammissibile) stabilita dalla Food and Drugs Administration degli Stati Uniti.
Non so se qualcuno oggi ricerca ancora i cloroderivati nel latte materno, ma non vorrei che fra qualche anno si scoprisse che il latte materno contiene microplastiche o altre sostanze derivate dal petrolio.
Ebbene dobbiamo iniziare a guardarci intorno e a fare delle scelte. Dobbiamo cercare di capire quali degli oggetti in plastica che usiamo tutti i giorni possono essere sostituiti con oggetti in materie naturali non dannose per l’ambiente e per il nostro organismo.
Dobbiamo soprattutto capire perché possiamo differenziare solo gli imballaggi e non i giocattoli o le sedie in plastica, perché si parla solo di imballaggi e non di materie da avviare al riciclo.
Dobbiamo capire se possiamo scegliere fra due oggetti uguali qual’è quello che garantisce più futuro a noi, ai nostri figli e al nostro pianeta.
Claudio Del Lungo
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