“Trasi munnizza e n’iesci oro”
“Trasi munnizza e n’iesci oro”, così inizia il Focus su “MAFIA & RIFIUTI” contenuto nella Relazione semestrale della D.I.A. – Direzione Investigativa Antimafia.
Si tratta di 80 pagine, all’interno di una Relazione semestrale di 686 pagine, che evidenziano l’attività svolta e i risultati ottenuti nella lotta alle mafie con questo capitolo speciale dedicato all’intera filiera di gestione dei rifiuti, mettendola in relazione (grazie a dati di fatto emersi in indagini ed operazioni di servizio) con l’infiltrazione della criminalità organizzata, per cercare di individuare gli snodi più a rischio, affinché le Autorità preposte possano eventualmente intervenire sul ciclo dei rifiuti.
Il documento punta i riflettori su un fenomeno criminale che vede in azione, nella lunghissima filiera dei rifiuti (produzione – assegnazione dei servizi – raccolta – trasporto – trattamento – smaltimento) la contestuale presenza di diversi “attori” – gli enti pubblici che assegnano i servizi di raccolta, i produttori dei rifiuti, gli intermediari, i trasportatori, gli impianti di stoccaggio e di trattamento dei rifiuti, i laboratori di analisi e gli smaltitori.
Analizzandone gli aspetti generali, oggi si registra, nel profilo criminale, un modus operandi quasi sempre sovrapponibile, indipendentemente dal contesto territoriale in cui si opera, caratterizzato da una tale specializzazione da consentire, in caso di necessità, l’immediata rimodulazione delle condotte e delle rotte dei rifiuti.
Nelle Conclusioni del documento si legge: “La gestione illegale dei rifiuti è purtroppo in costante espansione ed oggi appare ancor più superfluo affermare quanto essa rappresenti uno dei settori di maggiore interesse per le organizzazioni criminali, attratte da profitti esponenziali e di difficile misurazione, se non per difetto.
Ma se si attribuisse alla criminalità ambientale – ed, al ciclo illegale dei rifiuti, in particolare – unicamente una veste mafiosa, si correrebbe il rischio, come si è cercato di spiegare nel Focus, di distrarre l’attenzione dalla reale essenza di un fenomeno che si alimenta costantemente grazie all’azione famelica di imprenditori spregiudicati, amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca di consenso, nonché di broker, anche a vocazione internazionale, in grado di interloquire ad ogni livello.
Sicuramente, la minore percezione della pericolosità sociale degli ecoreati ha, nel tempo, giocato un ruolo importante.
Oggi, quando si registra un indubbio progressivo aumento della coscienza e della sensibilità verso le problematiche ambientali, è tuttavia evidente che si è ancora lontani dal prendere posizioni forti e decise, diversamente da quanto avviene per altre forme di delittuosità, magari di più forte impatto mediatico ma che, in un quadro generale, comportano un danno sociale non superiore.
Ed allora è quanto mai opportuno effettuare, a tutti i livelli, scelte di civiltà e di assunzione di responsabilità, non dilazionabili, non rinviabili.
Per gli imprenditori produttori di scarti di lavorazione, far parte o meno del circuito illegale è una questione di scelta d’impresa. Decidere a chi affidare i materiali residui delle proprie attività produttive (se ad imprese che operano legalmente o a quelle che si arricchiscono con l’ecoreato) può fare la differenza: il ciclo illecito si alimenta di rifiuti “fantasma” prodotti da aziende che ad esso si rivolgono per gli ampi margini di risparmio in termini di contenimento dei costi di smaltimento (voce passiva del bilancio aziendale), di elusione del pagamento di tributi e di falsa fatturazione, elementi di sicuro appeal per fasce imprenditoriali non trasparenti, a tutti gli effetti borderline.
Il fenomeno trova cassa di risonanza soprattutto in quei territori dove la produzione del rifiuto deriva da un’imprenditoria sommersa che opera totalmente in nero, per la quale lo smaltimento illegale risulta l’unica soluzione.
Anche per gli imprenditori che operano legalmente nel settore dei rifiuti (dalla raccolta allo smaltimento) è una questione di scelta: entrare nel circuito illegale, stabilmente o semplicemente lambendolo in modo occasionale, oppure rimanerne estranei. Il basso rischio e la facilità di guadagno si trasformano in un grave attentato alla libera concorrenza, considerato che commesse ed appalti vengono aggiudicati a società che, grazie alle loro condotte
illecite, sono in grado di applicare prezzi inferiori a quelli di mercato.
Può fare la differenza anche scegliere (come cittadini, oltre che per scelta d’impresa) se sottostare o meno alle pressioni intimidatorie della criminalità: purtroppo non pochi sono stati i casi in cui l’imprenditore vittima di estorsione, anziché denunciare, ha preferito mettere la propria azienda a disposizione dei sodalizi, diventandone complice, certo dei margini superiori di guadagno derivanti dal mercato illecito del rifiuto.
La stessa facoltà di scelta vale anche per amministratori, funzionari pubblici e soggetti politici alla ricerca di consenso a qualunque costo, come osservato dalle innumerevoli inchieste degli ultimi anni, indipendentemente dal contesto territoriale: lo scioglimento dei Comuni, così come ampiamente descritto nel Focus, è la prova della forza della corruttela, dove l’interesse personale (economico o per altre utilità) e la ricerca ad ogni costo del consenso politico diventano espressione di una mala gestio non più sostenibile.
Se fino a ieri, poi, l’attenzione mediatica è stata concentrata quasi unicamente verso le regioni del Sud, soprattutto a causa delle travagliate vicende campane, oggi l’asse cognitivo dell’opinione pubblica non può più essere distolto da quanto, da tempo, accade al Centro e nel Nord del Paese: in talune aree, ormai non più considerabili come isole felici – ove si assiste ad una ancora troppo lenta comprensione del fenomeno mafioso – i gruppi criminali trovano un brodo di coltura nutriente per la realizzazione di ecoreati, con le pesanti ricadute, in termini di costo sociale, che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi decenni.
Le vicende connesse ai gravi episodi incendiari, che – ad esempio, in Lombardia – hanno riguardato capannoni ed aree colme di rifiuti, ne sono una testimonianza da non sottovalutare.
L’analisi delle attività di indagine concluse in tale ambito illecito è da mettere necessariamente in relazione con la situazione gestionale del ciclo dei rifiuti e le sue criticità: la filiera legale (disciplinata dal D. Lgs. 152/2006 – Codice dell’Ambiente) appare troppo lunga negli aspetti spazio-temporali e costringe il rifiuto, dalla produzione allo smaltimento, ad una forte mobilità sul territorio, non solo verso altre regioni – secondo direttrici che oramai non sono più univoche – ma anche verso l’estero.
La perdurante emergenza, che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti, vede tra le sue cause certamente l’assenza di un’idonea impiantistica, primi fra tutti i termovalorizzatori, che a livello regionale, o addirittura provinciale, avrebbe potuto consentire l’autosufficienza e la prossimità, come sancito dall’art 182 bis del D. Lgs. 152/2006. Significativa, si è già detto, la mancata realizzazione di impianti di smaltimento ad alto profilo tecnologico, sul modello di quelli già esistenti in molti altri Stati europei e soprattutto nelle stesse Capitali e, nel contempo, il mancato potenziamento delle ulteriori infrastrutture necessarie, a monte, per il riciclo di materia e la stabilizzazione della trattazione organica.
Una situazione che ha inevitabilmente determinato l’allungamento della filiera ed il mancato compimento del ciclo di gestione, demandando lo smaltimento di quasi tutti i rifiuti urbani al conferimento in discarica, che spesso avviene dopo un farraginoso e dispendioso iter di trattamento e trasporto.
In tale contesto, più è lunga la filiera, più le organizzazioni criminali riescono a trovare spazi di inserimento, sfruttando le situazioni emergenziali e contribuendo, con lo sversamento illegale nelle discariche abusive, all’inquinamento del patrimonio ambientale.
In ragione del know-how investigativo maturato nel tempo, le metodologie di contrasto sviluppate dalle Forze di polizia e dalla Magistratura coincidono – in presenza di un elevato tecnicismo normativo di settore – con quelle applicate in tema di lotta alla criminalità organizzata e necessitano, ugualmente, anche della cooperazione internazionale, nella consapevolezza che, per contrastare efficacemente le proiezioni criminali ed economico-finanziarie delle mafie, occorre comprendere anzitutto l’importanza del crimine transnazionale, da qualsiasi Paese provenga, inteso come una vera e propria assoluta priorità.
In tale contesto, assume particolare valenza lo strumento delle operazioni sotto copertura, oggi previsto anche per il contrasto alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
La partita in gioco è molto seria e riguarda il futuro delle prossime generazioni; una priorità in cui la sola azione giudiziaria non è sufficiente per vincere. È, pertanto, assolutamente necessario ridurre il più possibile l’intera filiera, applicando alla lettera la legge 252/2006 e fare in modo, così, che la chiusura del ciclo possa avvenire in prossimità del luogo di produzione del rifiuto, al di là della sola logica del conferimento in discarica.
In definitiva è quanto mai necessario mettere in campo gli opportuni anticorpi per adottare le giuste scelte, ad ogni livello, pubblico e privato, se si vuole davvero interrompere un circuito illegale perverso, la cui azione trova la sua perfetta sintesi nella seguente considerazione: “I trafficanti lo sanno bene: più rifiuti, più passaggi, più chilometri, più affari in vista”.
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